Stipendi in Italia, crescita a zero senza l’innovazione

Negli ultimi 20 anni la produttività annua media in Italia è stata del -0,3%, contro il +0,3% della media OCSE.

stipendi in italia

Giacomo Calef, country head Italia di NS Partners, spiega come gli stipendi in Italia non crescano perché il Paese sta rimanendo indietro su innovazione e produttività.

Il divario tra la crescita dei salari e l’aumento del costo della vita in Italia è un problema persistente. Secondo l’OCSE, i salari reali sono rimasti fermi negli ultimi decenni, mentre il costo della vita è aumentato, riducendo il potere d’acquisto dei lavoratori. Questa discrepanza è legata alla stagnazione della produttività, definita come quanto prodotto si ottiene per ogni unità di input utilizzata, una stagnazione dovuta a investimenti insufficienti in tecnologia e istruzione e a una scarsa allocazione delle risorse.

Negli ultimi 20 anni, infatti, la produttività annua media in Italia è stata del -0,3%, contro il +0,3% della media OCSE. Questo rende l’Italia più vulnerabile alle crisi esterne rispetto ad altri Paesi industrializzati. Potremmo spiegare questo divario con gli altri Paesi analizzando i dati dell’ISTAT sulla spesa in ricerca e sviluppo italiana per il 2023: secondo il rapporto ISTAT, l’Italia ha investito circa 16 miliardi di euro in R&S, una crescita stimata del 5,2% rispetto all’anno precedente.

Questo investimento rappresenta circa l’1,5% del Pil italiano, un valore inferiore rispetto ai suoi vicini europei, come la Germania e la Francia, che hanno investito rispettivamente il 3,13% e il 2,35% del loro Pil. Questi dati inevitabilmente influenzano la capacità di innovazione del Paese e possono dunque fornire un’indicazione sul perché l’Italia soffra nel confronto con le maggiori economie europee.

Stipendi in Italia, crescita a zero senza l’innovazione

Il divario è evidente anche confrontando l’andamento del PIL reale di Germania, Francia e Italia, con quest’ultima che registra una crescita significativamente inferiore. A fronte di un Pil che non cresce adeguatamente, un’inflazione alta determina importanti conseguenze, costringendo le aziende a contenere i costi, inclusi i salari, per restare competitive.

Con un’inflazione attestatasi all’1,3% e un’industria che ha subito un ulteriore calo nel mese di luglio, segnalando un -5,6%, rispetto al -3,3% di giugno, questo mese può probabilmente alimentare il divario tra la crescita dei salari e il costo della vita. Un report di S&P Global segnala che quest’anno il 18% delle imprese italiane si aspetta di aumentare i prezzi di vendita nei prossimi 12 mesi, trasferendo le pressioni inflazionistiche sui consumatori e allargando ulteriormente il divario tra salari e costo della vita.

Il tasso di risparmio delle famiglie italiane potrebbe fornire un cuscinetto contro l’aumento del costo della vita, ma non è una soluzione a lungo termine. Per affrontare efficacemente il problema, le politiche economiche e del lavoro devono sostenere la crescita dei salari affinché possano tenere il passo con l’aumento del costo della vita. Inoltre, sarebbe opportuno promuovere investimenti in tecnologie avanzate e introdurre riforme per efficientare il sistema produttivo italiano, in modo dare nuovo slancio alla produttività.