Paolo Fortuna, Managing Director di NFON Italia, indaga il futuro dei contact center e traccia le prospettive di integrazione di chatbot e intelligenza artificiale.
L’arrivo di ChatGPT, il chatbot di intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI, ha suscitato un misto di entusiasmo e preoccupazione. Entusiasmo soprattutto tra le persone che ne hanno testato le funzionalità, scoprendo che questo nuovo modello di machine learning supera i precedenti per accuratezza e capacità di restituzione delle risposte. La preoccupazione, invece, è stata alimentata in tutte quelle figure professionali che attualmente ricoprono funzioni che in teoria potrebbero essere svolte anche dal “robot”. Tra queste rientrano ad esempio gli addetti dei contact center.
In realtà, i fornitori di soluzioni tecnologiche alla base dei contact center già da qualche anno hanno integrato un chatbot nelle loro piattaforme per attività inbound e, più di recente, per quelle outbound. Sarà capitato a tutti di ricevere una telefonata e di sentire all’altro capo, invece di un operatore, una voce registrata che verificava il nostro interesse all’acquisto di un prodotto o di un servizio.
E se questo ha suscitato in noi un certo fastidio, è un segnale importante del perimetro corretto in cui il chatbot dovrebbe collocarsi all’interno di un contact center. Di contro, uno dei fenomeni che genera maggiore insoddisfazione è il tempo d’attesa prima di ottenere una risposta. Nell’era in cui il marketing mira a ruotare attorno alla centralità del cliente, rimanere molti minuti ad aspettare al telefono oppure in chat rende questa presunta centralità un puro esercizio accademico.
L’importanza dell’esperienza omnicanale per il cliente
Questo non significa che gli assistenti virtuali siano da bandire. Molte ricerche attestano che possono fare la differenza per risolvere problemi molto semplici, ma che le persone sono alla ricerca di un interlocutore all’altezza, e quindi umano, quando devono affrontare questioni complesse. Inoltre, le ricerche sono concordi nel ritenere che i clienti prediligono un’esperienza omnicanale, e non frammentata tra vari touchpoint (telefono, chat, social, e-mail ecc.).
Lo si ricava ad esempio dall’Osservatorio Omnichannel Customer Experience del Politecnico di Milano, la cui ultima edizione attesta che il 98% degli utenti che ha vissuto esperienze omnicanale si dichiara pienamente soddisfatto. Un contact center, perciò, deve rendere possibile questo tipo di esperienza, altrimenti sortirà l’effetto opposto. Invece di creare empatia ed engagement, contribuirà a far disaffezionare il consumatore a causa della frustrazione che ha creato.
La questione interessante è che oggi le tecnologie per i contact center non sono più appannaggio esclusivo delle grandi aziende o degli outsourcer a cui vengono esternalizzate funzioni di customer care. La crescente offerta di sistemi in cloud, spesso in modalità Software-as-as-Service (SaaS), ha democratizzato l’accesso a questa tipologia di soluzioni. E lo ha fatto sia eliminando la complessità architetturale che in precedenza richiedeva competenze specifiche per l’installazione in locale, sia spostando l’onere della spesa dagli investimenti Capex a quelli Opex. Il che vuol dire che qualunque azienda, compresa una PMI, può modulare la subscription di un software per contact center parametrandola in base a coloro che devono utilizzarlo. Con il vantaggio di non dover allocare risorse economiche rilevanti nell’acquisto di un prodotto informatico, ma di usufruirne a fronte del pagamento di un canone periodico.
Come scegliere il contact center adatto alle proprie esigenze
La flessibilità garantita dai contact center più moderni ben si adatta all’andamento del business, poiché ottimizza il ricorso agli operatori chiamati a seguire il flusso di richieste e di domande di assistenza della clientela. In questo caso, allora, il famoso chatbot può contribuire a migliorare la qualità della customer experience, a patto che il contact center offra integrazioni native di tutti i canali. In altri termini, un assistente virtuale che fa da filtro iniziale non basta se poi persistono dei silos tra un touchpoint e l’altro. Le lunghe attese e la mancanza di una visione univoca sul cliente sono all’origine della disistima nei confronti di un brand.
Ecco perché, quando si sceglie un sistema di gestione per il proprio contact center, occorre sincerarsi che supporti una effettiva dimensione omnicanale, permettendo di “riconoscere” il cliente a prescindere dal punto di contatto preferito di volta in volta. Questa è l’unica strada possibile che porta alla soddisfazione e alla fiducia. Una strada lungo la quale c’è bisogno anche dell’intelligenza artificiale, a patto che sia inserita nel contesto di un’attenzione vera al cliente.
Oggi più che mai è su questo che viene misurata la credibilità di un’azienda, non su affermazioni generiche e di principio. Un contact center serve appunto a dare concretezza a questa attenzione e, per farlo, deve poggiarsi su una tecnologia adeguata.