Dicran Babayantz, Director Go To Market di Abstract, racconta il proprio percorso lavorativo, l’etica professionale e la forte passione per l’IT, già all’età di 13 anni.
– Babayantz, si descriva chi è in poche battute
Un affidabile visionario, qualcuno che sogna, disegna, organizza, aggiusta e implementa le strade per offrire una visione concreta nella vita e sul lavoro. Un padre orgoglioso e il compagno innamorato della donna che mi sta accanto.
– Cosa significa essere oggi ai ‘posti di comando’?
Penso sia assolutamente desueta e sorpassata una definizione di posti di comando “puro”, in contrapposizione a posti di “pura esecuzione”. In una organizzazione moderna esistono diversi ruoli e ognuno al proprio livello è chiamato a operare per far funzionare e migliorare i processi che attengono a quel ruolo. Non è infrequente che un processo preveda, ad esempio, che uno “specialist” riporti direttamente in direzione per specifici progetti. Inoltre, nessuno oggi può pensare di operare in assenza di una visione più ampia degli obiettivi aziendali, che vada oltre la semplice esecuzione dei propri compiti.
Il senso di appartenenza e condivisione di obiettivi e soprattutto dei valori di una azienda è oggi fondamentale. In questo senso, ognuno diviene “capo” del proprio ruolo.
Forse quello che differenzia le posizioni apicali da quelle di management più circoscritto o da quelle più operative è il fatto di essere chiamati a creare le migliori condizioni per produrre risultati duraturi in azienda e il fatto di avere, di conseguenza, una maggiore responsabilità su orizzonti temporali più lunghi.
Operare in posizioni apicali può, quindi, significare trovarsi di fronte a scelte che possono avere un impatto importante sulla vita dell’azienda e delle singole persone. Gestire e indirizzare il peso di queste decisioni con la giusta consapevolezza è ciò che realmente fa la differenza per chi si trova “ai posti di comando”.
– A cosa deve il successo nel suo lavoro?
Penso che tutti i successi in qualunque campo di fatto si basino sugli stessi assunti: comprensione degli scenari di partenza, visione, organizzazione, capacità di implementazione, adattabilità ai cambiamenti, perseveranza. Non credo di fare eccezione.
– Come si è avvicinato al mondo dell’ICT?
Il primo contatto è avvenuto all’età di 13 anni, quando un amico di famiglia mi propose di andare a vedere cosa si faceva in uno studio di ingegneria. Da lì iniziai a passare i pomeriggi a “lavorare” (si fa per dire) sui computer dopo la scuola.
Sono sempre stato appassionato di innovazione: all’asilo disegnavo missili spaziali e al liceo realizzavo animazioni al computer per partecipare a concorsi per spot pubblicitari. Da teenager avevo una trasmissione radiofonica in diretta su software e giochi per i computer. È stato un avvicinamento naturale, ma più che una semplice passione per la tecnologia, quello che mi ha sempre appassionato è stata la ricerca di come l’adozione del giusto livello di tecnologia potesse dare vantaggi competitivi al business.
– Mi dia tre aggettivi che descrivano il core business della sua azienda
Trovare tre aggettivi mi risulta difficile… facciamo 3 sostantivi:
Partnership, o per dirla in italiano “alleanza” o ancora “condivisione degli obiettivi” con il cliente del quale sposiamo gli obiettivi a medio e lungo termine.
Innovazione, perché i tempi in cui viviamo non consentono di basarsi solo su certezze e tranquillità “tradizionali”: per indirizzare le scelte in modo corretto bisogna sempre puntare sulle innovazioni, purché praticabili e sostenibili.
Commitment. L’aggettivo potrebbe essere “determinati” a raggiungere il risultato concordato con il cliente.
– Quali sono le migliori scelte che ha fatto da un punto di vista professionale?
Se dovessi sceglierne soltanto una, direi l’etica. L’etica, personale e del lavoro, è quella che guida sempre. Non potrei restare in un’azienda che mi chiamasse a fare delle scelte non etiche.
L’etica del lavoro di fatto dipende dal senso di responsabilità, che spinge a far sì che ogni attività sia svolta sempre al meglio delle possibilità aziendali migliorando nel tempo, capitalizzando l’esperienza acquisita.
Da un punto di vista più pratico, più che di scelte, credo che per me si sia trattato della possibilità di lavorare al fianco di grandi personaggi, dai quali ho cercato di imparare il più possibile. Inoltre, aver trascorso gran parte del mio percorso di carriera nell’ambito dei servizi e delle soluzioni mi ha permesso di essere più vicino al business delle aziende di quanto avrei potuto fare con i prodotti.
– Si è mai trovato nella necessità di fare scelte dolorose, ovviamente da un punto di vista professionale?
Sono stato direttore generale di una piccola azienda quando avevo meno di 30 anni. Dover gestirne la fusione con una realtà più grande e portare a compimento i piani di ristrutturazione e riorganizzazione conseguenti hanno comportato scelte e azioni dagli impatti importanti anche sulla vita delle singole persone. Alcuni sono stati molto positivi, altri probabilmente hanno causato dei turbamenti nella loro vita privata.
È una esperienza che tempra il carattere, ma che non si dimentica. Penso di ricordare ogni singolo colloquio fatti ai miei collaboratori di allora. Per fortuna, credo di esser riuscito a far comprendere loro qual era il contesto in quel momento. Con molti di loro ci sentiamo ancora oggi e ci frequentiamo nella vita privata.
– Qual è il pregio che ammira di più nelle persone e quale è il difetto che proprio non le va giù?
Il pregio è sicuramente l’etica, ma anche la chiarezza. Il difetto è la mancanza di visione, il tatticismo o, peggio, la doppiezza.
– Direbbe grazie a…e perché? A chi chiederebbe scusa e perché?
Grazie. Senza dubbio, a livello personale, devo ringraziare prima di tutto i miei genitori, entrambi fantastici. E, in particolare, devo ringraziare mio padre, a cui sento di assomigliare ogni giorno di più.
Professionalmente devo un grazie a tutti coloro con cui ho avuto il piacere di lavorare, perché da ognuno ho cercato di imparare qualcosa. Un ringraziamento particolare e speciale a Ugo Guelfi e a Giovanni Linzi, due persone molto diverse fra loro e due “grandissimi”, con cui ho avuto il piacere e l’onore di lavorare per diverso tempo. Con il loro esempio e con i loro insegnamenti hanno contributo a formarmi come manager d’azienda.
Con le scuse diventa difficile… Ho cambiato diverse posizioni negli anni e forse potrei chiedere scusa ad alcuni colleghi (e amici) che non sono riuscito a portare con me quando me lo hanno chiesto. Per fortuna i rapporti sono sempre buoni: sanno che non appena ci sarà la possibilità, saranno i primi che chiamerò.
– Tema giovani. Cosa cercano? Come giocano il loro futuro?
È un tema chiave, soprattutto in un periodo in cui a causa della sfiducia molti cercano un work/life balance nel breve, pregiudicando il proprio futuro. Mi rendo conto che per un giovane di oggi le prospettive per il loro futuro e per quello del pianeta in cui viviamo possano apparire non certo rosee.
Spero vivamente che proprio i giovani mettano il loro entusiasmo nei campi in cui pensano di potersi esprimere al meglio e diventino veri agenti del cambiamento. Penso che ci si stia rendendo conto che il ruolo di protesta dei giovani sia stato fondamentale, ma che ora proprio loro siano chiamati a passare all’azione e cioè a dotarsi di quel bagaglio di competenze ed esperienze che consentiranno loro di cambiare veramente le cose, interpretando il proprio ruolo in azienda e indirizzando le proprie organizzazioni verso una etica e una sostenibilità migliore di quelle attuali.
Questo è uno dei motivi per cui sono particolarmente orgoglioso del percorso di studi che mio figlio ha seguito e del percorso professionale che ora sta intraprendendo.
– Quali le criticità che ha messo in luce, nel suo quotidiano, il Covid-19?
Sicuramente l’aspetto più impattato dal Covid è stato quello delle relazioni personali e professionali. La mancanza di frequentazione assidua con amici e conoscenti penso che ci abbia cambiato un po’ tutti come persone, lasciando cicatrici che guariranno solo quando approderemo finalmente a un new normal “sociale”.
Dal punto di vista professionale si sono dovute riorganizzare le aziende su tutti i fronti, dall’ingaggio alla produzione, dalla logistica alla comunicazione, fino anche alle funzioni di staff e supporto. Anche come aziende siamo ora delle entità diverse da prima: il vantaggio è che siamo più flessibili e adattabili per affrontare eventuali nuove criticità.
– Quali le modalità per procedere al cambiamento dopo la pandemia Covid-19?
Direi che la sintesi risiede nel passaggio da tre aspetti chiave del business propri della fase emergenziale (stabilize, consolidate, relaunch) a un nuovo assetto aziendale, che combini una crescita ambiziosa ma sostenibile con una struttura che oggi è maggiormente in grado di affrontare le incertezze e gli imprevisti grazie a una maggiore adattabilità ai cambiamenti di scenario.
– Mi dia tre motivazioni per le quali oggi, le aziende, dovrebbero stare attente alla sicurezza
Non scherziamo, non ce n’è una per la quale non dovrebbero prestare attenzione alla sicurezza. Ogni singola azione dell’intero spettro delle Operation aziendali ha una sua criticità legata alla sicurezza, che si tratti di mercato – ad esempio, in merito alla corretta raccolta, gestione e protezione dei dati dei clienti – sino alla sicurezza fisica e informatica degli impianti di produzione o alla conservazione e condivisione controllata delle informazioni della Ricerca e Sviluppo. Tutte le fasi della vita quotidiana di un’azienda devono essere soggette a una politica di sicurezza agile, ma efficace e soprattutto in grado di migliorarsi giorno per giorno.
Ora facciamo ‘un gioco’… Se fosse un piatto che piatto sarebbe?
La mia compagna è appassionata di alta cucina e ho apprezzato diversi piatti “stellati” negli ultimi anni, ma sono troppo appassionato di barbeque per non immedesimarmi in una bel tomahawk o in una “baffa di costine” alla griglia. Naturalmente da consumarsi con birra e chiacchere serali in terrazza con gli amici.
– Se fosse un quadro?
Dato il periodo di Covid da cui stiamo (spero) uscendo mi verrebbe da dire “Office in a small city” di Edward Hopper, ma in generale forse un quadro di Magritte per la sua capacità di portare la realtà nell’immaginario e l’immaginario nella realtà.
– Se fosse un film?
Direi che potrei identificarmi in “Interstellar” di Nolan, perché come Magritte porta alla compenetrazione tra visione e realtà, oppure in “Una pura formalità” di Polansky, perché ogni giorno puoi trovarti a fare un bilancio della tua vita nel modo più inaspettato e mi è capitato spesso. Per questo, comportarsi eticamente e creare basi solide per chi verrà dopo di noi è importante.
– Se fosse una stagione?
La primavera quando ciclicamente tutto inizia ogni anno, sempre uguale ma sempre diversa, con un percorso che sappiamo già essere pieno di sfide e gratificazioni, ma che richiede cura, visione e metodo sin dai primi passi, per affrontare al meglio gli inverni più duri.
– Se non facesse il lavoro che fa, che lavoro farebbe?
Difficile dirlo, perché l’ho proprio scelto. Se dovessi affiancare un’altra attività, penso che probabilmente darei corpo a una mia società di consulenza. Oppure, se dovessi cambiare completamente ambito o pensare a qualcosa per il dopo, mi piacerebbe avere un locale di musica live dove invitare grandi artisti blues, jazz, pop, funk. La musica è sempre stata una mia grande passione, purtroppo principalmente da spettatore.
– Se avesse una bacchetta magica…
Farei in modo che mio figlio potesse realizzare i suoi sogni.