Possiamo dividere il mondo in due ere: pre e post Covid, anche se per parlare di post reale dovremo aspettare ancora qualche anno.
L’emergenza sanitaria, in cui tutto il mondo si è trovato coinvolto, ha messo in luce una nuova consapevolezza. Lo smart working o il remote working sono diventati una realtà anche agli occhi dei più scettici.
È solo uno degli esempi che ci permette di cogliere l’occasione per parlare di un segmento di mercato ben più ampio: l’Unified Communication & Collaboration e lo abbiamo fatto chiamando alla tavola rotonda ‘virtuale’ di ChannelTech, illustri esponenti che ci hanno dato la loro visione su questa ‘nuova normalità’.
Ciò che è emerso è proprio la difficoltà ad accettare il concetto di unified communication e collaboration. Per alcune aziende si tratta della videoconferenza, per altre realtà di dimensione più piccola il concetto non è ancora passato, eppure con lo sdoganamento del cloud si è assistito a un ampliamento del fenomeno e un valido aiuto su questo fronte.
E poi c’è il grande dilemma: ci siamo troppo abituati a questa nuova modalità di lavoro oppure potremmo trovare uno spunto, dalla tecnologia, per lavorare in modo ibrido e trovare così un modo più piacevole e, soprattutto, produttivo per realizzare gli obiettivi sul lavoro? Forse si, forse no, ma di sicuro piaccia o no, il mondo produttivo è cambiato.
Come del resto sottolinea Silvana Suriano, Sales Engineering Leader di Avaya Italia, vi sono stati due momenti: la prima fase di reazione all’emergenza e la presa di coscienza da parte delle aziende che si stanno muovendo in maniera più strutturata. “Stiamo cercando di portare la nostra esperienza e ci siamo resi conto che alcuni clienti si erano già mossi, in questo senso, prima della pandemia– specifica Suriano – grazie a riorganizzazioni e un maggiore uso della tecnologia per rendere più coeso un rapporto che necessariamente vendeva alcune aziende sparse nel mondo. Le soluzioni che vengono proposte devono rispondere alle esigenze dell’utilizzatore finale. In questo momento, strutturare l’approccio all’unified communication e collaboration è un elemento chiave per abilitare modelli di lavoro agile”.
Per lavorare bene in situazioni ibride e remote il prerequisito minimo è avere una cultura, “una cultura di lavoro da remoto – spiega Francesca Fracassini, Senior Account Manager Logitech Videocollaboration – una fiducia tra colleghi e responsabilità di avere dotazioni fisiche e tecnologiche che permettano agli utenti di fare il proprio lavoro in modo efficiente ed efficiente in ogni luogo e momento”.
E qui ci troviamo di fronte a concetti di semplicità, facilità e cultura. Proprio da questa si deve partire per passare poi la parola alla tecnologia. E lo spiega Rosa Maria Molteni, Strategic Business Development di Teoresi Group. “Non esiste più il concetto dello stare tante ore in ufficio per essere produttivi. Oggi, la tecnologia ci ha dato lo strumento per reagire”. Una visione ibrida del mondo lavorativo è quella che vede Roberto Vicenzi, Amministratore Delegato – Digital Innovation Manager di Centro Computer, il quale fa una distinzione ben precisa tra tecnologia e momento fisico.
“Dobbiamo far capire che la video collaboration è un momento diverso dall’incontro fisico. Noi, attraverso il supporto di una psicologa e di un consulente del lavoro abbiamo dato un supporto ai dipendenti per far passare questa visione diversa e distinta di questo momento particolare”.
Il business è diventato più difficile e, qualunque mestiere si faccia, serve maggiore impegno. “Correre con la testa – spiega Vicenzi – perché correre con le sole gambe ci si stanca prima”. Usa questa metafora Vicenzi per spiegare come, anche le organizzazioni medio grandi si trovino di fronte a questi processi di cambiamento. “Nelle grandi aziende – prosegue – si stanno riducendo gli spazi degli uffici per fare posto allo sharing. Il cambiamento è generale perché la competitività sul mercato richiede la necessità di correre più forte”.
Si parla di smart collaboration in casa Ricoh Italia. “Prima della pandemia ci arrivavano richieste che ricadevano sulla semplice videoconferenza e serviva solo un canale di comunicazione”, spiega Davide Urso, Business Development Manager Communication Services di Ricoh Italia. “Con la pandemia abbiamo ricevuto sempre più richieste per fare la communication con investimenti più consistenti e un maggiore coinvolgimento delle persone che lavoravano in posti diversi e remoti”.
Ma quando parliamo di unified communication e collaboration non possiamo esimerci dal pensare al cloud e ai centralini in cloud. Nfon, in Italia, ha fatto sua questa battaglia per far passare questa cultura. “Quando guardiamo al mercato italiano – spiega Marco Pasculli, Managing Director Italia e Vice President Revenue Operations di Nfon – lo vediamo un po’ acerbo per due motivi: il primo è legato al fatto che il termine unified communication identifica una collaborazione unificata tra video, telefonia, messaggistica integrati ma non è proprio così. Nel nostro paese siamo diventati conoscitori delle videoconferenze.
L’Italia è un mercato dove l’unified communication non è inteso congiuntamente: comunicazione da un lato, collaborazione dall’altro. I due sistemi non sono ancora completamente integrati per la maggior parte delle imprese, specie piccole realtà. Inoltre, la pubblica amministrazione acquista per convenzione e, oggi, non ne esiste una che preveda l’acquisto di soluzioni di telefonia in cloud”.
Abbiamo capito che si tratta di cultura digitale molto bassa. “Durante la pandemia ci siamo trovati a mettere in sicurezza e velocemente parecchie Pmi e ci siamo trovati di fronte, poi, a un problema di organizzazione. Come reagivano le persone da casa? In alcuni momenti sembravano paralizzate. Ci siamo adoperati – spiega Gianluca Verlezza, Country manager Italia di Wildix – per realizzare webinar perché la tecnologia ci può aiutare, anche parecchio, ma bisogna sempre avere a mente quali processi utilizzare per adottarla al meglio. Oggi, tuttavia, vedo un ulteriore rallentamento come se si stia ritornando a un vecchio modello lavorativo”.
Ma è proprio così? In parte si, alcune aziende hanno richiamato i propri dipendenti in ufficio, ma la pandemia non è scomparsa e, un altro problema, può essere che questa libertà si possa tradurre in un boomerang. Si, certo, un boomerang anche al contrario perché, da casa, molti dipendenti si sono scordati le otto ore canoniche trasformandole in nove o più. “Secondo me si andrà verso una normalizzazione: le persone avranno la possibilità di autogestirsi. Abbiamo notato questa nuova normalità ibrida ed è quella più conveniente per tutti”, spiega Pasculli.
Come ha confermato Verlezza e poi Suriano il cambiamento deve partire dal management che lo deve alimentare. “Gli strumenti ci sono – dice Verlezza – basta focalizzare meglio il management per riportare un equilibrio che possa conciliarsi con il vecchio modello lavorativo”.
Ritarare, quindi, il modello lavorativo per obiettivi, rivedendo gli spazi per creare l’impostazione di un nuovo modello innovativo. Ernesto Fucci, Key account manager di Planetwatch, start-up francese che decentralizza e incentiva il monitoraggio ambientale e nata durante questo periodo pandemico parla di una realtà che già aveva fatto i conti con il nuovo corso tecnologico e sposa il pensiero esposto da Vicenzi circa le modalità di lavoro professionale in un ambito di solidità aziendale non solo guardando al termine profitto ma anche all’unicità di ogni singolo lavoratore.
Tra i fornitori di soluzioni abilitanti in ambito telefonico, Pasculli affronta il tema degli operatori che forniscono soluzioni in cloud. Dal punto di vista business il cloud ha preso piede, ma a parere di Pasculli, per quanto riguarda le soluzioni in ambito telefonia, “il passaggio al cloud è più culturale che tecnologico. Inoltre – spiega Pasculli – è cambiato lo scenario competitivo degli operatori telefonici tradizionali che si trovano di fronte a competitor che prima non esistevano”.
Cambiano gli approcci cambiano le modalità di vendita. L’as a service è un approccio strategico. “Siccome l’obiettivo è trasformare tutto in un costo operativo, l’approccio ideale è vendere a noleggio anche in ambito voce”, afferma Vicenzi. “Si sta spostando il concetto che vuole i centralini tradizionali spostarsi in virtuale. Presto – continua – arriveremo al concetto di data center come costo operativo”.
Andando direttamente sul campo, Andrea Flori, IT Project Manager, è un battitore libero che ha ‘le mani in pasta’ su questi temi. “L’aspetto che ho riscontrato in questo periodo è la maggiore facilità ad adattarsi al cambiamento da parte dei lavoratori delle piccole medie imprese che hanno subito cavalcato l’onda dell’opportunità. Sul fronte cloud, questo è stato abilitante e l’abilità di la flessibilità del cloud di aumentare o ridimensionare le risorse che vengono spese sono una chiave di volta nel mondo It he ha visto investimenti importanti che in passato hanno vincolato, oggi questa flessibilità aiuta chi ha meno risorse”.