Dopo più di un anno in smart working i lavoratori (sia manager che impiegati) oggi vogliono lavorare dove e quando preferiscono.
L’obiettivo per gli imprenditori non è più gestire un team che lavora da remoto ma costruire un’esperienza lavorativa con la persona al centro. È questo il nuovo status quo: una nuova definizione dello spazio lavorativo, in cui “si lavora ovunque ci si trovi”.
Che si voglia chiamare remoto, ibrido, flessibile o dinamico, le aziende che vogliono essere competitive e attrarre talenti devono ripensare il classico posto di lavoro. E’ questo quanto rileva la ricerca dal titolo “Il futuro dello smart working” (Giugno 2021) condotta da Censuswide negli ultimi 14 mesi e rilasciata da Okta.
La produttività però rimane la sfida principale, così come la collaborazione e gli aspetti di sicurezza informatica. Le aziende devono affrontare aspetti critici inerenti infrastrutture tecniche e di sicurezza per supportare una forza lavoro distribuita geograficamente, oltre ad allestire gli uffici fisici in modo nuovo.
La ricerca di Okta porta a una chiara certezza: nessun posto di lavoro va bene per tutti, non più. Le aziende, quindi, devono adeguarsi.
Sono stati intervistati oltre 10.000 impiegati in 12 settori industriali, di cui 1.003 in Italia (482 donne e 521 uomini), con lo scopo di comprendere le problematiche principali derivanti dall’attuale modalità lavorativa ed eplorare la prospettiva del futuro del lavoro da un punto di vista economico, professionale e culturale.
Ne emerge un quadro in cui la pandemia ha rivoluzionato le dinamiche del lavoro (lontane ormai dalle otto ore lavorative trascorse in ufficio) che continueranno ad evolvere anche dopo lo stato d’emergenza.
Il primo dato che emerge è quello più rilevante. Secondo il sondaggio, solo il 22% degli intervistati italiani preferirebbe tornare in ufficio a tempo pieno, 5 giorni a settimana. La modalità preferita è il lavoro ibrido (un mix tra smart working e lavoro in presenza) scelto dal 42% (di cui il 46% uomini e il 36% donne). Solo il 20% degli uomini italiani sarebbe felice di lavorare da casa per sempre, rispetto al 14% delle donne.
Avendone la possibilità grazie allo smart working, il 53% dei più giovani, nella fascia 16-34 anni, si trasferirebbe altrove, percentuale che crolla al 18% sopra i 55 anni. In generale, il 62% degli impiegati italiani sceglierebbe di rimanere esattamente dov’è (il 44% per rimanere vicino alla famiglia).
Analogamente, gli orari di lavoro tradizionali sembrano essere più apprezzati dai senior. Il 52% degli over 55 vorrebbe lavorare negli orari canonici, mentre il 66% dei giovani (tra i 25 e 34 anni) preferirebbe un ambiente asincrono, senza orari di lavoro fissi e con la possibilità di decidere quando lavorare, da dove e con quali strumenti più idonei.
In questo contesto bisogna tuttavia segnalare che il sondaggio coinvolgeva anche settori come l’Education e la Finanza, in cui spesso il lavoro asincrono non è attuabile per limitazioni tecniche o logistiche.
Permettere alle persone di lavorare ovunque e a qualsiasi orario, tuttavia, comporta una sfida considerevole in termini di sicurezza informatica. Oggi, infatti, sempre secondo il sondaggio, molte imprese italiane sono impreparate.
Il 39% utilizza le sole password, senza sistemi più evoluti che abbatterebbero in modo considerevole i rischi di frode, perdita o furto di dati. Solo il 28% degli italiani intervistati si affida ad altre soluzioni di sicurezza sicure, come l’autenticazione multi-fattore, e solo il 13% usa i dati biometrici.
Il che dimostra che, anche se la cultura della sicurezza sta progredendo, esistono ancora considerevoli gap da colmare. Insomma, dopo aver acceso i fari sullo smart working, la pandemia ne sta mostrando le debolezze. Ma nel rientro al lavoro post Covid ci saranno anche numerose opportunità di miglioramento.