Sono passati 12 mesi dal lancio ufficiale dell’Open Banking in Italia. Cristina Iacob, Commercial Strategy Director South Europe di Experian, ne prende in esame i progressi, le sfide e le opportunità.
L’entrata in vigore della direttiva PSD2, legata all’adozione obbligatoria di sistemi di autenticazione forte dei clienti che si devono basare sull’utilizzo di almeno due fattori (es. password, impronta biometrica, certificato su smartphone) per consentire alla clientela di effettuare in piena sicurezza l’accesso ai conti on line e l’esecuzione dei pagamenti elettronici è stata prorogata di 18 mesi.
Chi opera nel settore bancario ha la situazione ormai ben chiara. Da un anno, con l’introduzione dell’Open Banking stiamo vivendo una vera e propria rivoluzione. Lo scorso settembre, le banche hanno dovuto rendere disponibili le proprie API a sviluppatori terzi, elemento questo imprescindibile per la reale interoperatività.
Da settembre 2019 a giugno 2020, le chiamate API in Italia sono passare da poche centinaia di migliaia all’inizio ad oltre 15 milioni di oggi sia per transazioni di inizializzazione dei pagamenti sia per quelle che consentono la lettura di informazioni di conto, in base alle statistiche rilasciate da CBI Globe, la piattaforma collaborativa di open banking alla quale ha aderito l’80% del mercato banking italiana. E lo stesso tipo di incremento si verifica nei diversi Paesi che stanno vivendo lo stesso passaggio.
Un elemento da considerare però è che l’open banking può essere visto come un passaggio verso uno scenario più ampio, definibile come open finance, ovvero lo stesso livello di innovazione e apertura.
Alla base dell’open banking c’è proprio il desiderio di aprire il mercato a tutto vantaggio dei consumatori, il mercato finance ha visto tradizionalmente la presenza di un numero ristretto di attori, le banche, chiamate a offrire i loro servizi ai clienti.
Ora si apre uno scenario differente: alle banche tradizionali si affiancano le società del fintech ma anche tutte le realtà tech che dispongono del know-how necessario per offrire servizi finanziari. la richiesta di condividere le proprie API significa un forte impulso alla concorrenza, oltre alla possibilità per i consumatori di trovarsi in una posizione di maggior equilibrio, se non di vantaggio, rispetto ai loro fornitori di servizi.
Le banche tradizionali possono sviluppare in casa competenze avanzate per rispondere con i fatti a questa evoluzione. Oppure cercare queste stesse competenze sul mercato, sotto forma di acquisizione o di partnership con realtà specializzate, che possono dare loro l’agilità necessaria a competere. E non è solo questione di tecnologia, quello che davvero deve cambiare, e per certi versi sta cambiando, è l’approccio verso il cliente, non più visto solo come un ricettore di servizi, ma come un corrispondente, paritetico o quasi, da ascoltare, servire e supportare in modo sempre più dinamico.
Non a caso, in particolare in Italia, le aziende finanziarie sembrano puntare soprattutto sul miglioramento della customer experience e in dettaglio ai servizi di gestione finanziaria (53,3%), seguiti a ruota da quelli di Payment Initiation (50%), secondo una recente ricerca di Tink.
Una cosa è chiara però. Chi riuscirà ad adeguarsi per primo alla nuova normativa avrà un vantaggio competitivo importante. Questo vale in modo evidente per le fintech e le cosiddette banche di nuova generazione, che si trovano di fronte a un mercato molto meno rigido e con barriere all’ingresso decisamente minori rispetto al passato, in tema di compliance e infrastrutture.
Ma anche per le banche tradizionali questa evoluzione potrebbe rivelarsi un vantaggio, purché intraprendano un cammino di innovazione e trasparenza, nell’ottica di rispondere in modo sempre più efficace alle aspettative dei consumatori. Che si evolvono insieme al mondo intorno a loro: il 37% dei consumatori europei si è detto disposto a cambiare banca se la propria non è in grado di offrire servizi tecnologici aggiornati. Una recente indagine condotta da Tink ha evidenziato come in Italia, il 63,3% dei player indica l’open banking come un’opportunità per la propria azienda a fronte di una media europea del 58,6%.