Un anno da adesso. In tempi di previsioni azzardate e precognizioni per un futuro che appare improvvisamente impenetrabile dovrebbe essere questo il lasso di tempo entro il quale, dicono gli esperti, le aziende procederanno al completamento, o quasi, del processo di profonda rivisitazione, in chiave digitale, della loro organizzazione interna, spinte dai nuovi scenari commerciali e professionali imposti dalle conseguenze della pandemia.
E per difendersi dal sopravvento delle aziende “native digitali”, come start-up e scale-up, anche le corporate più consolidate o le miriadi di Pmi di cui si sostanzia oltre il 90% del tessuto imprenditoriale italiano dovranno introiettare l’idea di affidarsi sempre di più a figure come system engineer e networking specialist.
“La pandemia, e l’impennata del ricorso allo smart working che ne è conseguita, hanno spinto sull’acceleratore della transizione digitale di molte realtà imprenditoriali, che a questo punto sono chiamate a riprogrammare ogni pianificazione elaborata precedentemente per fare rapidamente spazio a figure professionali che ne accompagnino efficacemente la transizione” sottolinea Federico Campiotti, Sales Director di Meritocracy, società del Gruppo Openjobmetis specializzata nella ricerca di figure legate al mondo del digitale con competenze specifiche nello sviluppo del software, nella business intelligence, nei big data, nel digital, nel mondo Tech e dell’ICT consulting.
Anche prima della pandemia, secondo quanto riportato dal World Economic Forum, il 2020 sarebbe stato l’anno delle professioni digital, con un balzo netto delle richieste in tema di Big Data Analysis (85%), Internet of Things (75%) e Machine Learning (73%).
“Se per molti versi questo frangente di crisi provocherà, purtroppo, quelli che potremmo definire degli smottamenti occupazionali in settori più tradizionali, prevedo, al contrario, un’impennata nella domanda di profili specialistici come, ad esempio, bravi sviluppatori informatici, fenomeno già evidente anche in tempi di pre-coronavirus”.
Un altro versante sul quale si concentrerà l’interesse delle aziende è quello della comunicazione digitale. “Finora molte realtà hanno considerato gli ambiti del digital marketing o del brand awareness come marginali o accessori ai canali più tradizionali di promozione e distribuzione dei propri prodotti; da oggi – prosegue Campiotti – prevedo un capovolgimento di questo assetto, e conseguentemente la conquista di nuova centralità per le figure professionali funzionali allo sviluppo, ad esempio, di piattaforme di e-commerce più evolute. A settori già molto più strutturati digitalmente come banche e assicurazioni si affiancheranno, in questo processo evolutivo, anche settori che finora sembravano meno avvezzi ad una passaggio massivo al digitale, come quelli della logistica o dell’agroalimentare, che dovranno imboccare percorsi fatti di tecnologie avanzate, ad esempio, per il controllo a distanza di filiere produttive, dell’andamento delle colture o, banalmente, per verificare lo stato di salute del bestiame quando parliamo di grandi allevamenti intensivi”.
Un consiglio alle giovani generazioni? Avvicinatevi con sempre meno imbarazzo o soggezione al grande universo dei Big Data. “Solo per fare un esempio legato all’attualità, la ricerca scientifica connessa al Covid-19 si avvarrà del grande centro di analisi dei dati del Cern di Ginevra per gestire la sconfinata mole di informazioni derivanti da tutti i laboratori mondiali impegnati su questo fronte”, sottolinea Campiotti.
L’Italia, così come il resto del mondo, avrà sempre più necessità di data analyst e data scientist, che nel mercato del lavoro rappresentano una percentuale dell’offerta ancora troppo bassa per soddisfare, soprattutto in prospettiva, una domanda in crescita, e che già oggi coinvolge quasi l’80% delle aziende. Ulteriore aspetto da considerare è l’esigenza di sottoporre le aziende ad un profondo processo di reskilling. “In prospettiva prevedo che ogni funzione aziendale debba essere posta nelle condizioni di dialogare costruttivamente con coloro che si occupano di digitale, ed è quindi immaginabile un incremento di richiesta nell’ambito degli interventi di formazioni specifici e, di conseguenza, di professionalità che li sappiano implementare efficacemente”.
Per far sì che questo orizzonte acquisisca i caratteri della concretezza occorre che il Paese si doti di una infrastruttura digitale adeguata, preformante e, soprattutto, diffusa, così da annullare, una volta per tutte, quel divario che divide e distanzia le generazioni, ma anche i territori della nostra penisola. “Non c’è sviluppo duraturo e stabile senza che questo interessi uniformemente tutti, e sin dai primi step dei percorsi formativi scolastici”, conclude Campiotti.
E non si fa fatica a pensare che, dopo la rivoluzione nei sistemi di insegnamento a distanza e di e-learning che la scuola italiana di ogni ordine e grado ha subito, questo incitamento possa presto tramutarsi in nuovi programmi didattici.